Testimonianza di Edda Dall’Ara

Testimonianza di Edda Dall’Ara

Il trentennale su don Francesco Ricci è stato per me una grande provocazione sia perché sono allergica a qualunque celebrazione sia perché mi chiedevo che cosa potesse significare quell’evento per ragazzi, e anche adulti, che don Francesco non l’hanno mai conosciuto.
Perché quello che conta è il presente, e il passato, anche il più remoto, le radici diventano interessanti solo per quello che hanno da dire al giorno d’oggi.
Mi sono tornate in mente le parole di Peguy: “Gesù Cristo, bambina, non ci ha dato delle conserve di parole/ ma ci ha dato delle parole vive, da nutrire/ le parole della vita non si possono conservare che vive/ nutrite, portate, scaldate, calde in un cuore vivo… Noi deboli, noi fragili, noi precari, noi indegni, noi infermi/ fragili è da noi che dipende che la parola eterna risuoni o non risuoni…
Così mi sono chiesta quali parole don Francesco mi ha comunicato che risuonano ancora così vive da nascere oggi per me così che io le possa comunicare così vive oggi.
E indubbiamente la prima è la concezione di Dio. Ricordo un’espressione sentita da lui per la prima volta alle medie in cui ci disse che Dio non era il motore immobile che ha dato origine al mondo e poi se ne è disinteressato ma era il Dio degli eserciti che è intervenuto nella storia per salvare il suo popolo. E ancora una sua omelia sul brano dell’alleanza con Abramo in cui il suo commento “sul fumo del sacrificio degli animali” mi ha impresso per sempre nella mente che Dio non è il Dio dei morti ma dei viventi, è il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, che si è coinvolto e ha fatto alleanza con l’uomo. Non è solo il giudice finale, ma è un padre che si cura e si dà pensiero degli uomini e si è fatto loro compagno di cammino.
Questa certezza, che, sentita per la prima volta da don Francesco, in me poi è maturata nel tempo, grazie a tante prove di conferma, è la testimonianza lieta che mi sento di dare, anche senza parole, di fronte a tanto dubbio e scetticismo che incontro oggi.
Un’altra cosa che mi ha colpito di recente è stato ritrovare i fogli di un gruppo di studio che proponemmo alle Magistrali nel 1968 (unico anno in cui il nostro professore di religione fu don Francesco) in pieno bailamme del Movimento studentesco. Il gruppo di studio si intitolava “Persona e società”. Io sicuramente allora non ne ero cosciente, ma oggi mi rendo conto che in un momento in cui culturalmente esistevano solo i concetti di classe, proletariato, borghesia, introdurre il concetto di persona significava riproporre la parola che la Chiesa indica come
definizione della struttura dell’uomo, che è fonte di valori ed è irriducibile a qualunque schema o categoria.
Millenaria saggezza e pedagogia della Chiesa! E quanto più oggi questa irriducibilità deve essere custodita e difesa in un tempo in cui la “riuscita” è talmente il dogma imperante che i ragazzi si sentono addirittura sbagliati perché non sono all’altezza delle aspettative che si hanno su di loro.
Infine sono rimasta stupita, rileggendo un articolo di don Francesco pubblicato in “Cronache d’Europa perdute e ritrovate”, della sua lettura relativa al rapporto con l’Islam.
Don Francesco era conosciuto ed era effettivamente l’uomo che non aveva paura delle contrapposizioni. Memorabili appunto le sue controversie con l’ideologia comunista ovunque si presentasse, le sue battaglie anche pubbliche e sui mass media in occasione dei referendum abrogativi delle leggi sul divorzio e sull’aborto. Eppure nell’articolo citato, rievocando l’impresa dell’incontro tra il cristianesimo e la barbarie, parla di un equivoco che ha impedito l’incontro e il dialogo tra cristianesimo e Islam. E afferma che, non necessariamente, un incontro deve avvenire senza scontro ma uno scontro che non si risolva in un incontro non è mai una cosa buona. Infine critica un metodo di fare dialogo che risulta piuttosto un duetto tra sordi nel quale ciascuno si preoccupa di dire dell’altro e sull’altro e non osa invece parlare di sè, né rivelare la propria identità così come non osa incontrare l’altro e riconoscerlo per quello che è e non per quello che pensa o vuole che sia.
Mi è sembrato profetico per l’oggi.
Edda Dall’Ara