‘LE DUE EUROPE’ di Don Francesco Ricci

‘LE DUE EUROPE’ di Don Francesco Ricci

Riproponiamo di seguito un articolo scritto da don Francesco Ricci nel 1989, quanto mai profetico e attuale. Un prezioso contributo che ci aiuta a comprendere meglio ciò che sta accadendo.

Alcune delle nazioni europee stanno avviandosi a compiere un passo in avanti nel processo della loro integrazione, avendo come scopo la formazione di un mercato di dimensioni tali da permettergli di entrare nella competizione per la conquista di una quota rilevante del mercato mondiale. La data concordata per l’istituzionalizzazione di tale processo di integrazione è il 1992. Molti vedono in quella data una tappa significativa del cammino verso l’unità dell’Europa, anche se a nessuno può sfuggire – sia che lo dichiari, sia che lo taccia – che la comunità delle nazioni europee che aderiscono a detto processo di integrazione è una comunità di interessi, cioè un’associazione di mercanti, il cui fine è vendere di più per accumulare maggiore ricchezza. L’ambizione mercantile ha però bisogno di nascondere la vera natura delle proprie brame, perciò riveste la propria nudità con certi orpelli, che nel caso attuale sono forniti dai “valori umani comuni”, cioè dalla versione neo-mitologica di una serie di ideali umanistici accuratamente filtrati e selezionati, ai quali è affidato il compito di assicurare la dignità culturale delle intenzioni dei mercanti. Si è creata così un’immagine largamente diffusa e assimilata di una consociazione tra espansione del mercato e omologazione della cultura, la cui reciprocità sembra offrire la formula perfetta per la costruzione della Grande Europa unita e per il suo successo nella competizione per il mercato mondiale.

Non è difficile immaginare che cosa ne sarà degli europei e delle loro antiche nazioni, una volta che le regole del mercato avranno spinto l’omologazione culturale fino al livello a cui può portare la manipolazione delle domande e la massificazione delle risposte. Il meccanismo è già in moto da tempo e l’unica incognita riguarda il calcolo quantitativo dei suoi effetti. Tutto ciò pone inquietanti interrogativi sul destino dell’Europa (e non solo di quella dei dodici), non come entità astratta, ma come esistenza reale di uomini legati per nascita e per appartenenza all’ethos
europeo.

Il 1992 non è una data qualunque per gli uomini e le nazioni d’Europa: essa ricorda loro infatti la grande avventura europea della scoperta del Nuovo mondo. Anche allora come oggi, c’era in coloro che compirono il grande balzo un movente transoceanico, un movente mercantile – il commercio delle spezie – cui s’aggiunse quello finanziario con la scoperta dell’argento americano, e poi il mito voluttuario del benessere, con il sogno dell’oro, che portò alcuni sulle soglie della follia. Quegli uomini europei di allora non erano dunque diversi da quelli di oggi, tanto che la loro avventura fu e viene considerata l’inizio dell’epoca moderna, di quella stessa modernità cui s’appellano oggi i mercanti, i finanzieri e i moralisti voluttuari che si sono appropriati del potere per decidere dei nostri destini.

Ma quegli uomini di allora non appiccicarono sulle loro imprese buone o cattive che fossero – gli orpelli di “valori umani comuni” per legittimarle e per omologare i popoli di altre storie e culture nell’abietta condizione di clienti del loro mercato. Al contrario, essi avevano una fede semplice e anche rozza, una fede di carne nel Dio fatto carne, in Gesù Cristo, e la portarono nel loro cuore e nelle loro caravelle, e vollero comunicarla, non nell’interesse dei loro commerci, ma nella loro passione per il destino dell’uomo.

Non erano buoni, onesti, efficienti uomini d’affari; neppure erano scrupolosi difensori dei diritti umani o predicatori illuminati della tolleranza; nessuno può pensare di vedere in essi gli anticipatori del movimento ecologista e dei <<verdi»> militanti. Erano piuttosto dei peccatori e sapevano di esserlo, ma conoscevano la misericordia del Padre e riconoscevano nel volto umano di Cristo il segno visibile della presenza non di un valore, ma di una persona, non di un principio morale universale, ma di una carne e di un sangue dati all’uomo, a tutti gli uomini, per un amore senza limiti al loro destino.

L’autocomprensione dell’Europa, ovvero la coscienza dell’identità europea, non è separabile dall’avventura americana della fine del XV secolo. Essa infatti nasce nell’ethos europeo e di esso dà testimonianza, confermandolo come lo spazio della libertà, nel quale il bene e il male sono frutto della decisione dell’uomo, non prodotto di meccanismi a lui esterni ed estrinseci. Sin dalle origini infatti la libertà dell’uomo europeo accade nel paragone con la persona di Cristo, il Dio fatto carne, presente e vivente nella storia, e non con la normativa astratta dei valori e delle leggi.

Oggi l’Europa sembra avere dimenticato l’ethos delle proprie origini, così da non sapere cercare altra forma di unità che quella della comunità degli interessi, cioè dell’associazione dei mercanti, ai quali non importa il destino degli uomini, ma l’accumulazione di maggiori ricchezze. Il senso della presenza del Dio fatto carne è illanguidito nella proclamazione dei valori umani comuni, grazie ai quali diventa possibile l’omologazione dei desideri e dei bisogni e, conseguentemente, la generalizzazione dei consumi e l’espansione del mercato.

Privo della memoria del Dio fatto carne e presente nella storia, l’uomo europeo non comprende più se stesso, o meglio cade in balia delle proprie autointerpretazioni, s’abbandona alle astrattezze dei teoremi e, quel che è peggio, rimane schiavo del gioco, sottile e brutale allo stesso tempo, dei padroni del mercato. Non che siamo diventati peggiori nel senso morale, ma abbiamo perso il centro, e navighiamo alla deriva, spinti da un vento che non è quello dello Spirito, ma quello del mercato, della borsa e del piacere.

Così vediamo i nostri proclamati valori – umani, comuni e universali – levarsi sui cieli d’Europa come mongolfiere multicolori senza pilota e quindi senza mèta, tenute gonfie dai fuochi fatui delle mode inventate a ogni stagione dai signori del mercato: la liberazione della donna, ad esempio, cioè del corpo, del sesso, dell’aborto e dalla famiglia. E anche la grottesca liberazione della teologia, la sua emancipazione, dalla fede, dalla Chiesa, dal magistero. E quella – che dura da secoli – del pensiero dalla realtà, dall’organicità, dalla totalità. E la liberazione della stessa Europa dalle proprie radici, dalla propria storia, dalla propria identità.

Ma l’Europa non è solo questo e neppure il più potente dei Mercati uniti d’Europa può riuscire ad annichilire la realtà di uomini e donne che vivono (e vivranno) nella verità l’appartenenza all’ethos europeo della libertà, che nasce dal riconoscimento della presenza del Dio fatto carne. Quand’anche si riducessero costoro a una sparuta minoranza, derisa e beffeggiata (il mercato ha proprie raffinate regole di persecuzione dei renitenti alle leggi), in essi vivrebbe la speranza europea, la fecondità vitale delle radici d’Europa.

(Da Il Nuovo Areopago, n. 1, primavera 1989, estratto dal libro “Da un Paese Vicino”, edizioni EDB)